Quiet Quitting, cos’è e perché le grandi aziende lo temono
Un termine molto diffuso nel mondo del lavoro in questo periodo è quello del quiet quitting, così come definito da wikipedia “l’abbandono silenzioso è un’applicazione del work-to-rule, in cui i dipendenti lavorano entro orari di lavoro definiti e si impegnano esclusivamente in attività entro tali orari”.
In Italia è stato tradotto in parte, si parla di un fenomeno denominato “Grandi dimissioni” che sta iniziando a dilagare tra le grandi aziende. Stando, infatti, agli ultimi dati pubblicati dall’Osservatorio sul Precariato dell’Inps, in Italia nel primo semestre del 2022 oltre 1 milione di persone ha deciso di dare le dimissioni dal proprio posto di lavoro. Se il numero assoluto è già di per sé impattante, il confronto con il 2021 sottolinea la forte dinamicità del mercato: rispetto al primo semestre dell’anno scorso le dimissioni sono cresciute del 31,73%, in parallelo a un incremento del 26% delle assunzioni. Il saldo complessivo è in ogni caso positivo, con 946mila nuovi posti di lavoro.
A livello internazionale, però, sembra che il fenomeno delle “Grandi dimissioni” stia lasciando progressivamente spazio a un nuovo e significativo trend, denominato “Quiet Quitting”. Trascorsa quindi l’onda più drastica della consegna delle dimissioni, sembra che ora molti lavoratori scelgano una via più lenta, senza tagli netti: letteralmente “Quiet Quitting” significa infatti “lasciare lentamente”. Nel concreto, vuol dire mollare la presa sul lavoro, limitandosi a fare lo stretto necessario.
«Il fenomeno del Quiet Quitting, seppur possa sembrare meno impattante rispetto a quello delle dimissioni di massa, non deve e non può essere trascurato dalle aziende» spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting.
«Le persone che scelgono in modo razionale e sì, strategico, di mettere dei paletti chiari alla propria vita lavorativa partono con l’evitare il lavoro extra, gli straordinari, la reperibilità, smettendo del tutto di considerare la propria carriera lavorativa come una priorità» sottolinea l’head hunter «e questo, in uno scenario in cui fin troppo spesso le aziende contano proprio sugli extra e su quello sforzo in più da parte dei dipendenti per raggiungere gli obiettivi prefissati, può ovviamente diventare un problema considerevole».
Al di là delle dichiarazioni dei dipendenti, a partire dai social network – dove l’hashtag #quietquitting continua a guadagnare popolarità – a dimostrare la concretezza di questo fenomeno è il report State of the global workplace 2022 di Gallup.
Lo studio ci dice che, se prima della pandemia l’engagement dei dipendenti nei confronti delle aziende datrici di lavoro era in continuo aumento a livello globale, oggi è invece stagnante o in flessione. Guardando ai numeri attuali, solamente il 21% dei dipendenti afferma di essere coinvolto dal proprio lavoro, un dato che in Europa scende al 14%.
«I numeri mostrano che il fenomeno del L’abbandono silenzioso è un’applicazione del work-to-rule, in cui i dipendenti lavorano entro orari di lavoro definiti e si impegnano esclusivamente in attività entro tali orari. riguarda soprattutto i lavoratori delle generazioni Millennial e Z, ovvero la forza lavoro nata a partire dagli anni Ottanta, che rappresenta la parte più produttiva e più importante per lo sviluppo delle aziende» spiega Adami.
«Se per evitare le dimissioni dei dipendenti le aziende sono chiamate a investire nella formazione degli assunti, a introdurre dei benefit e ad ascoltare le esigenze dei dipendenti, nel caso del Quiet Quitting l’attenzione va posta soprattutto sul dialogo, e sulla costruzione di un rapporto autentico ed empatico tra manager e i membri del proprio team», conclude Carola Adami.
Perché un ambiente di lavoro sano e trasparente permette sia di ridurre il turnover, sia di aumentare la propensione alla produttività.